CRITICA |
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17 luglio1958 UN “TRITTICO” DESTINATO AD ABBELLIRE IL SAGRATO DI S. MARTINO A TIRANO La generosità di una nobildonna e l’abilità realizzatrice di Mastro Antamati di Giuseppe Mambretti*
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(...) Una distinta nobildonna tiranese alcuni mesi fa, avendo visto quanto scompiglio portasse lo spazio vuoto nell’insieme della casa parrocchiale, decise di donare al suo St. Martino un’opera di un valente artista tiranese che avrebbe potuto coprire il vuoto ed abbellire in pari tempo il sagrato. Sentito il parere del nostro signor Prevosto, la nobildonna tiranese commissionò l’opera a Mastro Antamati. Il bozzetto, che si riferisce ad un capitolo del Vangelo, fu eseguito da un nipote della benefattrice. (...) Ci siamo recati nell’officina di Mastro Antamati. (...) La penombra del locale, silente e scuro, faceva da stridente contrasto con alcune figure di uomini ignudi che sembrava volessero balzare da una rozza lastra di rame sospesa ad un metro dal suolo a pochi passi dall’ingresso.
La luce diafana, strana, che colpiva il Cristo a braccia aperte si rifletteva sui visi, sui muscoli appena abbozzati, sulle figure tozze ancora in lavorazione, sulle immagini dolci e complete dell’immensa bozza stesa in un canto, dando l’idea che le figure volessero uscire dalla cruda materia per balzare verso qualcosa che noi forse non riuscivamo a capire. Su tutto sola e irreale campeggiava la figura del Cristo. Il viso dolce, espressivo, amoroso quasi - che guardava non solo le persone sbalzate che gli facevano corona sulla grande lamiera, ma tutto quanto lo circondava – metteva in quanti lo stavano ammirando una strana apprensione, un timore misto a venerazione. Sembrava quasi, con l’immenso sole che campeggiava alle sue spalle, che la figura vestita dalla lunga tunica volesse dire qualcosa agli uomini del quadro e a quelli che lo stavano osservando. Sembrava parlasse di bontà. Ma forse stavamo sognando. Il Cristo che vedevamo era solo una bella immagine ricavata con sapienza e dovizia di arte da uno dei nostri più bravi cesellatori. Forse le figure che vedevamo chine o in piedi imploranti, sgomente, fiduciose sull’immenso telo grezzo erano solo movenze di un quadro che sarà ammirato da molti e che non potrà essere criticato che da pochi. O da nessuno. (...) I dati tecnici
dell’opera sono presto detti. Nello spazio che tutti ben conoscono, entro
beve tempo compariranno tre grandi quadri raffiguranti il primo il lavoro
infruttuoso, il secondo la predicazione di Dio e il terzo (...) Realizzati su una lamiera di rame spesso un millimetro, i tre cartelloni che misurano due poco più di un metro e quello centrale tre metri, possono essere considerati, senza tema, i capolavori del nostro concittadino. Le difficoltà di operare su un terreno così vaso, usando quarantotto punteruoli (per curiosità li abbiamo contati), otto martelli ed un compasso per le proporzioni, possono essere chiare a chiunque. (...) Mentre sotto la pioggia lasciavamo la casa di Mastro Antamati, il Cristo dal centro del quadro sembrava ci guardasse. Il viso che spiccava solitario nella penombra dell’officina, dolce di una dolcezza inconfondibile, ci ridava l’impressione che per tutti ci sarebbe e ci sarà un domani migliore. Magari inaspettato; ma senza dubbio migliore. *Giuseppe
Mambretti (1937-1989) giornalista professionista, collaboratore di diverse testate nazionali (tra cui Il
Giornale), e locali (l’Eco delle Valli
e il Corriere della Valtellina, del quale è stato direttore), oltre che
di radio e televisioni della Provincia di Sondrio. |
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