CRITICA

 

da "Valtellina e Valle Spluga" Rivista mensile d'arte, turismo, lettere, scienze, sport. Anno I - N. 4  Ott.-Nov. 1949;

da "Le Vie del Bene" Bollettino mensile a beneficio dell'Orfanotrofio Femminile di Morbegno.  Anno XXIV - Dic. 1949, pagg. 2-5.

 

DA ARTIGIANO AD ARTISTA

 di  Paolo Arcari*

 

A destra della Nazionale che discende oltre Tirano, un po' retrocessa graziosamente dall' affacciarsi sullo stradone, semplice e vivace si alza la casetta di Renzo Antamati.

E si apre, direi, come posto di ristoro alle macchine polverose, sovente scolorite dai divorati chilometri: si apre come carrozzeria, pulsare di fatica industre di fabbro di falegname di tappezziere attorno all' ossatura denudata, odorare forte di vernici, sprizzare di polverizzatore e, prima del «via!» il rifinimento che lucida e colora.

 

La "bottega d'arte" Antamati a Tirano

 Lasciate 1'officina, con le sue ospiti convalescenti, 1'officina aperta ed operosa, lasciatela ai garzoni indaffarati e scivolate tranquillamente verso i quieti interni della linda dimora.

Di là a rovescio della officina appartata e nascosta, la stanzetta dell' arte: coi cavalletti, con le scansie delle letture preferite, coi ricordi e coi progetti, con le riproduzioni e gli studi; insomma, l' eremo propizio delle ore disponibili e serene. 

Di fianco gli corre una parete di sempreverdi, brusii ed occhieggiare di corolle: in faccia gli si stende la campagna che corre, con quella leggera illuminazione nostalgica che il più breve pianeggiare prende fra i nostri monti, fin sotto la scesa precipite, il piombare a picco della montagna di Roncagliola.

Prime a farsi riconoscere da chi vive in mezzo  ai  libri  sono  le  figure che si levarono  dalle pagine di un libro e sollecitarono dall' artista di balzare dal metallo percosso, di emergerne così come assidue urgenti, sorgono tuttodì dalla memoria tenace e commossa: reminiscenze di fantasie orientali in un ceffo grifagno di venditore di schiavi, sordido e nerigno accanto alla bianchezza delle carni vendute; liliale luminosità di FABIOLA, purità di catacombe, illuminata come lampada di ipogei, fragrante modestia della tanta primaverile ed interiore bellezza; oppure schianto, per ispirazione opposta e trepidante, di bufera infernale, sostare gentile, ed in evidenza albata, della coppia di Paolo e di Francesca. Sono tre soggetti senza declamazione, ma percorsi da ansia d'anime, così come quando l'Antamati subisce l'eterno fascino del mito di Amore e Psiche. 

Sentite che Renzo Antamati è uscito di casa, che è andato lontano, e che gli si sono presentati temi inassueti: fu nel periodo dell'internamento il biennio di Röggiswil nel cantone di Lucerna. « Lavora che ti passa» fu la saggezza del cuore nostalgico nella lunghezza di due inverni  ‘43 e '44. Il profilo del generale Guisan gli parve consono agli abiti dell' arte sua: un'austerità affabile e mite, una incarnazione energica del dovere. Insieme col Generale lo attrasse, mentre se ne avvicinava il giorno della canonizzazione, NICOLA DE LA FLUE, santità rupestre, spogliazione volontaria ed assoluta, quasi impaziente, per bisogno di servire totalmente Dio e la patria. Mi stanno, poi, davanti gli occhi due mani in preghiera di uno sbalzo in ottone: l'adesione alla supplica dell' orante è intima ed espressiva, placata anche dallo zelo di indovinare tante venature della preghiera nell' esattezza del rilievo anatomico.

 

Dovunque, lontano o vicino, l'ANTAMATI riprende sempre con delizia la osservazione paziente, minuta, amorosa del reale. La riprende per ghiribizzo decorativo, per tentazione d' arabeschi di animalista: animali filiformi e sottilmente intelaiati, predatori e vittime dal volo breve, che pure non si lasciano rattrappire subito dal ferro in che sono battuti, scorpioni e ragni e mosche, mosche, euritmicamente ingrandite.

Il lancio senza agguato, il lancio che è scatto elastico di tendini, che è baldanza di giovinezza, è un tema onde in tante forme fu attratto il nostro! Dal fante lanciabombe, dal discobolo moderno che avventa, lasciandone di colpo la ben stretta e mulinata maniglia, la boccia di piombo, sino alla baldanza gioconda conversevole del giuocatore che si sente sicuro di separare il pallino dalla palla temerariamente accostataglisi.

 Più. vasta rassegna dei lavori compiuti offrì la mostra chiavennasca dell' attività artigiana del maggio 1949: qui nel «buon ritiro» Renzo Antamati si tiene vicino ciò che lo sospinge a diligenze nuove, rapidità felice degli ultimi ritratti impostati, vagheggiamenti di colori in alcune composizioni di natura morta.

Si tiene vicino soprattutto, inno di giovinezza e di fede nella vita, un luminoso ritratto femminile della vigilia nuziale.

Si tiene vicino tutto ciò che si collega al Santuario sulla cui strada appunto ci troviamo e del quale le campane squillano quasi sul nostro capo.

Sono lì i cartoni di quando l'Antamati ha collaborato col suo maestro, il torinese PAOLO EMILIO MORGARI, al cartone della cappelletta - o del « santello» diciamo noi, o del tabernacolo. come dice il Manzoni - eretto coi figlioli da Domenico Corvi ed affrescato con la scena dell' Apparizione. E' il primo saluto tiranese a chi dalla strada di Campocologno discende verso 1'Italia.

Porta d'accesso all'abside della Basilica

di Tirano -  Particolare

Dominata dell' affresco ecco l'opera ultima: i due grandi specchi che ornano nella Basilica la porta verso il Campanile. I due specchi lavorati a sbalzo rievocano con le loro masse, con la loro disposizione due scene famigliari e care: la promessa della celeste Visitatrice ed il momento nel quale il Beato Omodeo affida ai conterrazzani il mistico messaggio del quale è depositario.

Nella gente addensatasi attorno al latore della novella grande ed umile come Colei che lo manda è il fervore sbigottito e riconoscente della missione divina: esulta come un anticipo del1e moltitudini commosse che sulle stesse zone verranno a proclamare la loro fede; un pannello vivido, scintillante nella sua levigatezza, popolato e quasi sollevato dall' empito di gioia di un' ora unica.

 

Ecco i frutti di un' armoniosa convivenza dell' artigiano e dell' artista; ecco l'amore del lavoro sbocciare, con seria meditazione, con trepida costanza nell'amore del bello; ecco nella giornata dell' assidua e proba fatica illuminarsi di gioia segreta nobilissima l'ora avventurata che consente di esprimere e di affermare un ideale di grazia.

 

* Paolo Arcari (1879-1955) fu docente di letteratura italiana e filologia romanza in varie università svizzere e in quella di Friburgo anche Rettore e Preside di facoltà.